Le faccette sono sottili gusci in ceramica che vengono applicati e cementati adesivamente sulla superficie esterna del dente naturale.
Prevedono una limatura minimale (pochissimi decimi di millimetro) del dente, che a seconda del caso può non essere necessaria: approccio no prep.

Sono restauri ad altissima valenza estetica e con un’ottima durata nel tempo, che permettono di riprodurre una naturale traslucenza del dente naturale.

I denti naturali si possono sbiancare con trattamenti chimici e in rari casi di pigmentazione con trattamenti abrasivi in superficie. Per pigmentazioni esterne di superficie (come ad esempio il fumo) già dopo la lucidatura di una normale seduta di igiene orale si possono percepire i risultati, invece per le pigmentazioni  profonde è necessario un trattamento specifico.

E’ stato dimostrato scientificamente come gli sbiancanti chimici a base di perossido, a basse concentrazioni per uso esterno, hanno un’azione sullo smalto del dente non invasiva.

Lo sbiancamento non ha alcuna azione sul composito utilizzato per i restauri e neanche sul materiale di rivestimento delle corone. E’ possibile fare lo sbiancamento ma bisogna preventivare che sia i restauri che le corone andranno sostituite dopo il trattamento sbiancante per ottenere un’adeguata integrazione estetica.

L’aumento della sensibilità dentale è uno degli aspetti più frequenti durante il trattamento sbiancante anche se la variabilità soggettiva è molto importante e nella quasi totalità dei casi può essere gestita con successo. In molti casi comunque non si verificano aumenti della sensibilità.

 

Un intarsio è una ricostruzione solitamente eseguita in materiale composito ( ma anche in ceramica o in oro) indicata in situazioni in cui la carie o la distruzione di un dente per altre cause è troppo importante per consentire una semplice otturazione.

Può collocarsi a metà tra una otturazione e una capsula.

Per realizzare un intarsio il dente viene preparato e gli viene data una forma specifica in cui l’intarsio alloggerà, viene presa un’impronta mandata al laboratorio che realizzerà l’intarsio. In una seconda fase l’intarsio verrà inserito e cementato utilizzando tecniche adesive.

Sicuramente le otturazioni in amalgama si possono sostituire utilizzando materiali molto più estetici che riproducono il colore del dente e si mimetizzano con esso.

Parecchi studi dimostrano i danni causati dall’amalgama di argento sottolineandone la sua tossicità. E’ però fondamentale sapere che questo materiale dopo parecchi anni che si trova in bocca risulta praticamente inattivo, mentre il momento più delicato e rischioso diventa quello in cui tali otturazioni vengono rimosse fresandole e permettendo alle particelle di essere liberate e respirate dal paziente. Per questo motivo si devono adottare procedure di protezione (sia per il paziente che per gli operatori) che riducano al minimo l’inalazione e l’ingoio di tale materiale).

Nel nostro studio tali procedure sono routinarie e nessuna otturazione viene eseguita con l’amalgama d’argento.

I motivi sono molteplici:

  1. L’osso, dopo la perdita del dente, prima riempie il vuoto lascato nell’alveolo e dopo alcuni mesi tende a riassorbirsi, quindi in futuro sarà più difficile poter inserire l’impianto se non con tecniche più sofisticate di aumento dell’osso.
  2. I denti tendono a spostarsi per trovare contatto fra loro e quindi cercano di chiudere lo spazio vuoto inclinandosi e creando contatti masticatori anomali, oppure il dente antagonista (dell’arcata opposta) al dente mancante nel tempo tende ad estrudere (migrare in direzione opposta all’osso di sostegno), a volte arrivando a toccare la gengiva opposta. Queste migrazioni portano spesso ad interferenze masticatorie che possono avere varie ripercussioni.

Sicuramente l’estetica si può migliorare grazie anche ai materiali molto performanti utilizzabili al giorno d’oggi. E’ importante sottolineare che nel momento in cui si decide di smontare una corona presente in bocca da parecchi anni, diventerà imprescindibile valutare la condizione del dente sottostante.

Digrignare i denti, o bruxare (cioè stringere i denti e limarli) è un tentativo del nostro cervello di farci eliminare eventuali precontatti, che però, poi, diventa patologicamente, un modo di scaricare lo stress. Esso porta danni sia ai denti che ai tessuti di sostegno (gengiva, legamento, osso) e si può ovviare in vari modi, tra gli altri quello di portare, di notte, un protettore in morbida resina.

 

No, questo è un tipico segno di una iperattività notturna della muscolatura masticatoria.

Questa iperattività spesso porta danni gravi ai denti e ai tessuti di sostegno. A volte queste tensioni si manifestano a carico del collo, del viso e addirittura della schiena.

Già dopo 12 ore dalla seduta di igiene professionale il dente è ricoperto da una pellicola di batteri.

Per questo è fondamentale accompagnare a regolari sedute di pulizia professionale una attenta cura domiciliare della propria bocca. E’ fondamentale un corretto uso dello spazzolino (la tecnica di spazzolamento non va trascurata) almeno 3 volte al giorno (dopo ogni pasto) e del filo interdentale o altri presidi consigliati dal professionista.

Perchè con lo spazzolino non è possibile pulire dai batteri lo spazio fra i denti e sotto la gengiva, e proprio in queste zone si verificano frequentemente insorgenza di carie e tasche parodontali, entrambe patologie di origine batterica.

Il filo non crea spazi tra i denti. Può eventualmente creare lesioni alle gengive se usato nel modo errato.

La prevenzione attraverso una corretta igiene orale è di fondamentale importanza per evitare o limitare la formazione di carie e della malattia parodontale (a volte denominata “piorrea”) a partire dalla semplice infiammazione gengivale.

Il suo scopo principale è la rimozione della placca batterica (pellicola aderente ai denti nella quale vi sono svariate specie batteriche) e soprattutto del tartaro (placca calcificata) che aderisce sulle superfici sopragengivali, ma anche sottogengivali che non possono essere viste normalmente dal paziente. Nei casi di tasche parodontali profonde o eccessivo accumulo di tartaro sottogengivale si deve ricorrere a terapie più specifiche.

La seduta di igiene orale professionale (spesso denominata “pulizia dei denti”) permette di eliminare anche i batteri presenti sotto la gengiva e quindi non eliminabili mediante lo spazzolamento domiciliare. Inoltre nelle superfici che con l’igiene domiciliare quotidiana non vengono perfettamente deterse, durante questa seduta vengono rimossi i batteri che avevano creato uno strato aderente.

Perchè è il periodo necessario affinchè i batteri normalmente presenti nel cavo orale modifichino la loro aggressività e da una semplice infiammazione gengivale possano determinare un danno al tessuto osseo di sostegno del dente, e quindi causarne la mobilità e addirittura la perdita.

L’intervallo di tempo dipende dalla abilità del paziente nel mantenere una corretta igiene orale e dalla propria predisposizione alla malattia parodontale. Un paziente normalmente può ricorrere alla seduta di igiene professionale ogni 6 mesi, in casi di malattia parodontale grave, dopo le specifiche terapie è consigliabile fare una seduta di richiamo ogni 3 mesi.

La strumentazione parodontale si concentra sulla radice e non sulla corona dei denti, limitando il numero dei movimenti a quelli strettamente necessari per asportare depositi duri e molli.

Lo smalto dei denti è un tessuto altamente mineralizzato, molto di più rispetto al tartaro.

Un dente devitalizzato in passato può fare male a seguito di una reinfezione di una precedente  cura canalare o ad esempio a causa di una frattura della radice.

Certamente sì, in quanto la carie è una patologia che colpisce i tessuti mineralizzati del dente quali dentina e smalto a prescindere dalla presenza del nervo.

Inoltre un aspetto negativo è che con l’avanzare della carie il paziente non avverte dolore e senza  una adeguata diagnosi del dentista si corre il rischio di riscontrare vaste lesioni cariose.

 

La seduta di terapia canalare non è dolorosa. Viene fatta l’anestesia ed il paziente non avverte dolore.  E’ invece normale avere un leggerissimo fastidio per 7-10 giorni a causa della disinfezione e della sigillatura dei canali. In rari casi si possono avere reazioni con sintomatologia dolorosa nei giorni seguenti la seduta, in questi casi è consigliabile associare una terapia farmacologica concordata con l’odontoiatra.

Dopo il parto le cure odontoiatriche, a maggior ragione, se necessarie, possono essere effettuate senza problemi per la qualità del latte e per il neonato in quanto la progressiva diluizione dell’anestetico nei fluidi corporei lo rende innocuo tanto da non dover sospendere l’allattamento. Maggiore precauzione può essere l’utilizzo del tiralatte evitando l’allattamento per le 24 ore successive alla seduta odontoiatrica.

 

La somministrazione di anestetico per terapie odontoiatriche di routine è da considerarsi minima e quasi ininfluente ai fini delle generali condizioni della donna in gravidanza. È comunque un comportamento saggio, somministrare anestetici durante la gravidanza per terapie assolutamente necessarie, rimandando a dopo il parto ogni altra terapia. Qualora necessari, è consigliabile la somministrazione di anestetici locali senza vasocostrittori che, se presenti,  potrebbero avere azione anche a livello placentare con il rischio di ridotto apporto di ossigeno al feto.

L’esposizione a raggi x durante la gravidanza deve ovviamente essere ridotta il più possibile, soprattutto nel primo trimestre. Quindi qualora non sia fortemente necessario si deve preferire rimandare qualunque radiografia. Comunque considerando che il dosaggio di raggi delle radiografie intraorali è minimo, con le dovute protezioni e precauzioni, se necessario si possono eseguire esami radiografici endorali.

Le sedute di igiene orale professionale sono assolutamente consigliate, infatti a causa dei cambiamenti sistemici ed ormonali del periodo di gestazione aumenta la possibilità di riscontrare malattie parodontali. Inoltre la proliferazione di alcuni batteri (quali ad esempio gli streptococchi) può creare problemi allo sviluppo del feto per esempio contribuendo alla nascita di bambini sottopeso o esponendo al rischio di parti prematuri (si è ipotizzato che in corso di patologie gengivali acute vengano rilasciate in circolo elevate concentrazioni di sostanze con attività biologica proinfiammatoria e che favoriscono anche il travaglio, come per esempio le prostaglandine) (controllare sul libretto SIdP !!!!). Esiste infatti la possibilità che l’infezione dal cavo orale, una volta entrata in circolo, possa colonizzare l’utero e la barriera placentare esponendo a rischio il feto.

Nei casi di malattia parodontale esistono protocolli dove si intensificano il numero di sedute di igiene professionale in gestazione.

Gli squilibri ormonali a cui è sottoposta una donna in gravidanza la rendono più soggetta  ad infiammazioni gengivali. Si evidenzia pertanto la necessità di controlli frequenti per la sua igiene orale.

Appena saranno erotti tutti i denti da latte, che in totale sono 20, 10 sopra e 10 sotto. Questo generalmente avviene intorno ai 3 anni, durante questa visita il dentista valuta lo stato di salute della bocca, controlla che i denti da latte siano tutti spuntati, che siano sani e che la chiusura tra le arcate, ossia l’occlusione, sia corretta. Durante la prima visita vengono spiegati i principi fondamentali per una corretta igiene orale, le motivazioni e i metodi di prevenzione. Viene inoltre controllata la presenza di abitudini viziate come il persistere nell’uso del ciuccio e il succhiamento del dito che possono alterare lo sviluppo ottimale della bocca.

Bisogna osservare se il dente è solamente fratturato in una sua porzione o se è stato completamente espulso dal cavo orale. Nel caso che il dente sia fratturato in una sua porzione, bisogna cercare di recuperare questa parte mancante. Il dentista potrà infatti valutare se rincollare con tecniche adesive il frammento. Il frammento del dente nell’attesa di essere consegnato al dentista dovrà essere conservato in acqua.

Il bambino deve essere in ogni caso portato dal dentista anche in assenza di dolore. Attraverso una radiografia e un test termico si valuterà la porzione di dente rimasta e se ne verificherà la vitalità. E’ possibile che a seguito di un forte trauma infatti il nervo all’interno del dente muoia ed in quel caso bisognerà procedere con la terapia canalare .

Nel caso di piccoli pazienti “difficili” è possibile concordare con lo studio sedute chiamate “di ambientamento”, durante le quali il bimbo ha la possibilità di entrare in confidenza con lo studio odontoiatrico, conoscere i dottori e il personale, assistere a sedute di altre bambini, accettando lo studio come ambiente amico e familiare. L’esperienza ha dato buoni risultati in questo senso.

L’esperienza dei medici odontoiatri ha dimostrato che la presenza dei genitori nello studio e` consigliata specialmente nei casi in cui i pazienti hanno meno di tre anni. Se hanno i genitori accanto i bambini sono piu` rilassati e diventa più semplice fargli accettare questa nuova esperienza. Dopo quest’eta`pero`, si raccomanda che i genitori non stiano piu` accanto ai figli durante la seduta, perche` in questo modo ci sara` una comunicazione migliore bambino-medico. In questo modo la figura di riferimento per il bambino sarà il medico e sarà molto più attento e collaborante.

E’ una protesi removibile costituita da uno scheletrato metallico su cui vengono modellate parti in resina che imitano le mucose e montati i denti mancanti che si devono ripristinare.

Essa e’ costituita da una barra palatale o linguale che e’ la parte che collega la parte destra alla parte sinistra e che nell’arcata superiore passa sopra al palato mentre nella arcata inferiore passa dietro agli incisivi inferiori ed e’ coperta dalla lingua.

L’apparecchio è removibile in quanto deve essere rimosso dal paziente per poter effettuare le manovre di igiene. L’ancoraggio ai denti fissi è previsto tramite ganci o tramite attacchi invisibili.

La classe scheletrica indica il tipo di malocclusione presente, considerando il rapporto tra l’arcata superiore e quella inferiore.

Assolutamente no. Il titanio è un materiale estremamente resistente ma come avviene per i denti naturali bisogna mantenere una buona salute parodontale in quanto i tessuti di sostegno ne risentono negativamente e possono compromettere la stabilità dell’impianto stesso. Si possono infatti creare processi infiammatori e infettivi che vanno a minare la struttura gengivale e ossea fino a determinare la perdita dell’impianto.

Una non integrazione dell’impianto (spesso chiamata in modo non proprio adeguato “rigetto”) nelle fasi successive all’intervento, ne può determinare la perdita. Questo è un fatto abbastanza raro, se la qualità dell’impianto è buona, se i protocolli osservati sono adeguati e se il paziente osserva le normali regole di mantenimento igienico. I casi di non integrazione dell’impianto secondo molti studi scientifici che seguono adeguati protocolli, sono da considerarsi intorno al 3%, quindi una percentuale molto bassa, che generalmente avviene nel primo periodo post-operatorio. A questo fenomeno si possono manifestare dolore e gonfiore associati, spesso in forma molto lieve o quasi inesistente.

No. Esiste anche la tecnica transmucosa (flapless o ad opercolo), che non utilizza il bisturi e non vi e’ bisogno di punti di sutura, semplicemente si fa un piccolo foro sulla gengiva, previa anestesia, per inserire l’impianto. Queste tecniche sono maggiormente in uso anche grazie alla chirurgia computerizzata guidata.

No non sempre, dipende da com’è stato progettato il lavoro, dal numero di pilastri residui e dalle loro condizioni. Qualora si riesca a recuperare il lavoro protesico presistente è necessario spesso apportare qualche modifica alla nuova situazione di sostegno.

 

Dipende dal tipo di intervento, se gli impianti sono inseriti in una zona senza denti è possibile realizzare un provvisorio che si appoggi agli elementi dentari adiacenti senza comprimere eccessivamente la mucosa. Questo provvisorio potrà essere portato dal paziente anche subito dopo l’intervento. Se l’arcata è completamente edentula o quasi, sarà necessario realizzare una protesi rimovibile appoggiata a qualche radice residua eventualmente lasciata in situ per permettere l’ancoraggio protesico. L’unico caso in cui non si può portare la protesi per qualche tempo che deve essere indicato dal chirurgo è quello in cui si siano realizzati dei rialzi di cresta che potrebbero essere destabilizzati dalla pressione della protesi.

In alcuni casi la quantità di osso presente non è sufficiente all’inserimento di impianti di lunghezza adeguata né ovviamente alla loro stabilità (si parla di stabilità primaria). Oggi sono disponibili diverse tecniche chirurgiche per la rigenerazione dell’osso ai fini implantari . Naturalmente questo richiede che l’operatore sia esperto in questo tipo di trattamenti e che il paziente sia completamente informato circa le modalità di esecuzione, le eventuali complicanze e la tempistica richiesta dall’intervento. Talvolta (nei casi più estremi) queste tecniche devono essere eseguite prima del posizionamento degli impianti per poter aumentare l’osso e solo dopo 6-12 mesi si possono inserire gli impianti, spesso invece si riesce ad eseguire l’intervento di rigenerativa e il posizionamento degli impianti nella stessa seduta. Alcuni mesi di attesa dovranno comunque passare prima di poter caricare protesicamente gli impianti.

Praticamente tutti i pazienti possono affrontare l’intervento, sta all’odontoiatra mettere in luce eventuali controindicazioni per lo più di carattere locale. Le controindicazioni mediche assolute al posizionamento degli impianti sono molto rare. Il rischio di infezione focale con un impianto osteointegrato è molto scarso. Il limite tra controindicazioni relative ed assolute non è netto e comprende l’analisi di diversi parametri. Pazienti con diabete compensato o con anemia o altre problematiche sistemiche possono essere curati da un team chirurgico ben addestrato che deve attenersi rigorosamente al protocollo chirurgico e alle norme di asepsi. Il consumo di tabacco aumenta il rischio di insuccesso del 10% circa e costituisce una controindicazione a trattamenti più complessi quali gli innesti ossei, ma non è controindicazione assoluta all’inserimento normale di impianti, rimane sempre comunque un fattore di rischio.

Tutti i pazienti dai 21 anni in poi sono possibili candidati al posizionamento di impianti. Devono essere però valutate controindicazioni all’intervento per fattori locali o sistemici (casi rari). In alcuni casi si può eseguire un intervento implantologico, solo dopo aver rigenerato l’osso mancante.

E’ uno spazio che si forma fra dente, osso e gengiva in cui tartaro e placca  batterica si depositano aggravando il consequenziale riassorbimento osseo, rappresenta quindi un serbatoio di batteri che è in grado di progredire e danneggiare i tessuti di sostegno del dente, distruggendoli.

La malattia parodonatale (alcune volte chiamata erroneamente “piorrea”) porta nelle sue forme gravi alla perdita dei denti, che non avendo più tessuti di supporto stabili iniziano a  vacillare. Purtroppo il paziente non avverte sintomatologia dolorosa durante l’evoluzione della malattia, i segni che può percepire sono aumentato sanguinamento gengivale e alito cattivo. Il dolore insorge talvolta in concomitanza di ascessi gengivali, quando purtroppo la malattia è già nella fase più evoluta. Per questo è importante fare regolarmente visite di controllo presso un odontoiatra che possa fare una diagnosi precoce.

I batteri presenti nel cavo orale ed in modo preminente nelle tasche parodontali causano alito maleodorante che è tra i primi sintomi avvertiti dal paziente parodontopatico.